NOVECENTO Alessandro Baricco





 Titolo: Novecento. Un monologo
 Autore: Alessandro Baricco
 Editore: Feltrinelli
 Pagine: 64
 Prezzo: 5,00









“Il Virginian era un piroscafo.
 Negli anni tra le due guerre faceva la spola tra Europa e America, con il suo carico di miliardari, di emigranti e di gente qualsiasi. 
Dicono che sul Virginian si esibisse ogni sera un pianista straordinario, dalla tecnica strabiliante, capace di suonare una musica mai sentita prima, meravigliosa. 
Dicono che la sua storia fosse pazzesca, che fosse nato su quella nave e che da lì non fosse mai sceso. Dicono che nessuno sapesse il perché.”

Questo racconto, nato come monologo teatrale, è uscito per la prima volta nel 1944. Nel 1998 Giuseppe Tornatore ne ha tratto il film "La leggenda del pianista sull'oceano".





Il mare torna impetuoso con la sua poesia rumorosa a far da tappeto alle note suonate da Danny Boodmann T.D. Novecento, 
già, un nome e una garanzia, perché Novecento è una leggenda in fatto di musica,
e diamine che musica!
Con quei tasti fa ciò che vuole e te la fa entrare dentro,
ma così profondamente che poi non te la togli di dosso.
Baricco con questo monologo arriva al cuore e lo fa attraverso gli 88 tasti di un pianoforte.
Novecento, nato e cresciuto su quella nave, vi rimarrà impresso, come le pagine intrise di jazz e di mare che l'autore con eleganza narrativa ha creato.
È una storia drammatica, commovente, profonda, allegra ed estremamente poetica.
La storia di un bambino che cresce senza diventare adulto, che con le sue paure e le sue certezze impara a conoscere il mondo attraverso i passeggeri di una nave.
Un mondo conosciuto, ma estraneo perché quel mondo non gli appartiene, Novecento ama il jazz. 
Un pianoforte a coda e uno sgabello.
Ecco tutto il suo mondo.





“A me m'ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono. Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi. Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, fran. Non c'è una ragione. Perché proprio quell'istante? Non si sa. Fran. Cos'è che succede a un chiodo per farlo decidere che non ne può più? C'ha un'anima, anche lui, poveretto? Prende delle decisioni? Ne ha discusso a lungo con il quadro, erano incerti sul da farsi, ne parlavano tutte le sere, da anni, poi hanno deciso una data, un'ora, un minuto, un istante, è quello, fran. O lo sapevano già dall'inizio, i due, era già tutto combinato, guarda io mollo tutto fra sette anni, per me va bene, okay allora intesi per il 13 maggio, okay, verso le sei, facciamo sei meno un quarto, d'accordo, allora buona notte, 'notte. Sette anni dopo, 13 maggio, sei meno un quarto: fran. Non si capisce. È una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto. Quando cade un quadro. Quando ti svegli, un mattino, e non la ami più. Quando apri il giornale e leggi che è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui. Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio. Quando, in mezzo all'Oceano, Novecento alzò lo sguardo dal piatto e mi disse: "A New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave". Ci rimasi secco. Fran.”





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